Sentenza n.1441 del 26 luglio 2004

Sentenza n.1441 del 26 luglio 2004

Il Giudice unico delle pensioni della Corte dei Conti di Bologna, nella persona dell’Ill/mo Giudice Consigliere Luigi di Murro, ha riconosciuto ad una nostra vedova, iscritta alla Sezione UNMS Modenese, il doppio diritto a percepire la Indennità Integrativa Speciale in misura intera su entrambe le pensioni in godimento del defunto marito per l’intero periodo intercorso dalla richiesta ed il decesso. Il Signor Giudice ha riconosciuto inoltre che alla vedova compete l’analogo emolumento in quota parte ed in misura intera anche sui trattamenti di reversibilità.

Pubblichiamo il testo della sentenza.


REPUBBLICA ITALIANA
CORTE DEI CONTI
Sezione Giurisdizionale per la regione Emilia Romagna

In Nome del Popolo Italiano
In funzione di giudice unico delle pensioni in composizione monocratica in persona del consigliere Luigi Di Murro, ha pronunciato, nella pubblica udienza del 9 giugno 2004 e con l’assistenza del segretario sig.ra Anna Maria Pellegrino, la seguente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 027781/004749/Pensioni Militari del registro di segreteria, proposto da B. L. vedova di C. P., rappresentata e difesa dall’avv. Giorgio Fregni, avverso l’I.N.P.D.A.P., Sede di Modena.

Udito, alla pubblica udienza, l’avv. Giorgio Fregni per il ricorrente; non rappresentata l’Amministrazione resistente.

FATTO

Con ricorso presentato in data 2 marzo 2002, e notificato all’I.N.P.D.A.P., Sede di Modena in data 10 febbraio 2002, la sig.ra B. L., vedova di C. P. ha chiesto la declaratoria del diritto del proprio dante causa proprio a percepire l’indennità integrativa speciale in misura intera e la tredicesima mensilità sulla pensione privilegiata tabellare vitalizia (in godimento dal 18 ottobre 1965) nel periodo di contemporanea fruizione di analoghi assegni a fronte del trattamento economico di attività in qualità di dipendente del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni fino a 31 ottobre 1986 (data del ripristino) ed il diritto del medesimo dante causa della ricorrente a percepire dal 1° novembre 1986 al 3 febbraio 2001 (data del decesso) l’indennità integrativa speciale in misura intera e la XIII^ mensilità su entrambi i trattamenti pensionistici in godimento, nonché il diritto della ricorrente a percepire l’indennità integrativa speciale in misura intera e la tredicesima mensilità sulla pensione privilegiata di reversibilità a decorrere dal 4 febbraio 2001 e le stesse indennità in misura intera anche sulla pensione ordinaria di reversibilità, liquidatale dall’Amministrazione con applicazione dell’art. 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995 anziché dell’art. 2 della legge 27 maggio 1959 n. 324.

Con l’atto introduttivo del giudizio la ricorrente riferisce che il dante causa, titolare dal 18 ottobre 1965 di pensione privilegiata ordinaria n. 48… in qualità di ex carabiniere, con istanza in data 9 novembre 1992, aveva chiesto il ripristino della I.I.S. sulla pensione diretta di anzianità quale ex dipendente del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni n. 150… in considerazione che detta indennità, dalla data del secondo pensionamento (2 novembre 1986) veniva corrisposta unicamente sulla pensione privilegiata ordinaria; la ricorrente medesima precisa poi che la reversibilità delle pensioni già fruite dal defunto C. P. le è stata corrisposta, in applicazione della legge 8 agosto 1995 n. 335 nella misura del 60% di entrambe le pensioni una delle quali non comprensiva di I.I.S.

La ricorrente sostiene che, a seguito degli interventi della Corte costituzionale, recepiti dalla giurisprudenza di merito della Corte dei conti, la norma che vietava il cumulo dell’indennità integrativa speciale e della XIII^ mensilità spettanti sul trattamento pensionistico privilegiato tabellare con gli analoghi assegni spettanti sul contestuale trattamento di attività ovvero su un diverso trattamento di quiescenza deve ritenersi espunta dall’ordinamento, non essendo stato fissato dal legislatore il limite al di sopra del quale il divieto di cumulo in questione può essere ritenuto costituzionalmente legittimo.

La ricorrente allega poi due istanze, presentate in data 7 gennaio 2002, con le quali ha chiesto che le sia corrisposta l’I.I.S. e la 13^ mensilità anche sulla pensione 150… R sia per il futuro sia per i ratei di pensione e le tredicesime mensilità arretrati, con rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla data di maturazione dei singoli crediti sino al saldo effettivo.

Dall’analisi delle predette domande risulta che con quella individuata come allegato 2 l’interessata lamenta l’erronea applicazione dell’art. 1, comma 41 della legge n. 335/1995 (legge Dini) sulla pensione n. 150.. R dovendo esser viceversa applicato l’art. 15, comma 5 della legge 23 dicembre 1994 n. 724; con quella individuata come allegato 4 la ricorrente chiede che le venga corrisposta l’I.I.S. anche sulla pensione n. 150.. R. in applicazione del principio della spettanza di detta indennità anche in caso di plurime pensioni.

Con il petitum formale contenuto nell’atto introduttivo di questo giudizio la ricorrente chiede che venga accertato il proprio diritto a percepire l’I.I.S. in misura intera sul trattamento pensionistico di reversibilità (senza peraltro indicare a quel trattamento di riferisca, se lo stesso attenga al n. 48.. T o al n. 150… R ovvero ad entrambi) nonché alla corresponsione degli importi arretrati condannando la P.A. al pagamento degli stessi, con rivalutazione monetaria ed interessi legali da dì del dovuto al saldo.

Peraltro detto petitum formale appare più limitato rispetto all’oggetto del ricorso quale definito nella parte in diritto in cui si afferma che il ricorso concerne due diversi aspetti: 1) quello del marito per il periodo in cui egli era in vita ed in proposito la ricorrente chiede che gli venga riconosciuto il diritto alla percezione dell’I.I.S. su entrambe le pensioni di cui il C. godeva e, 2) quello delle pensioni di reversibilità della ricorrente ed in proposito la stessa chiede l’applicabilità al caso di specie dell’art. 15, comma 5, della legge 23 dicembre 1994 n. 724.

Con memoria in data 10 dicembre 2003 l’INPDAP, Sede di Modena, afferma la legittimità del proprio operato, confermato, per quanto concerne il trattamento pensionistico di reversibilità spettante alla ricorrente iure proprio, dalla sentenza della Corte costituzionale n. 446 del 24 ottobre/12 novembre 2002 e, in via subordinata, eccepisce l’intervenuta prescrizione quinquennale degli assegni che si è comunque interamente maturata nei confronti del dante causa.

Con memoria depositata in data 15 aprile 2004 per l’odierna udienza (notificata all’Amministrazione in data 22 marzo 2004), il difensore della ricorrente introduce tre richieste nuove rispetto a quelle già formulate e precisamente la declaratoria del diritto del dante causa e per lui della ricorrente medesima alla I.I.S. in misura intera, oltre agli accessori di legge, sulla pensione diretta n. 48…. dal 9 novembre 1982 al 31 ottobre 1986, la declaratoria del diritto del dante causa e per lui della vedova ricorrente alla I.I.S. in misura intera, oltre agli accessori di legge, sulla pensione diretta n. 150…. dal 2 novembre 1986 in poi e, in via del tutto subordinata, la declaratoria del diritto del dante causa e per lui della vedova ricorrente, alla I.I.S. sulla pensione diretta n. 150… dal 7 febbraio 1997 in poi.

Il difensore integra poi le richieste già formulate con il ricorso introduttivo e precisamente chiede la declaratoria del diritto della ricorrente a percepire l’integrale importo della I.I.S. sul trattamento pensionistico di reversibilità n. 15… R e non il mero trattamento pensionistico decurtato al 60%, a percepire l’integrale importo della I.I.S. sul trattamento pensionistico di reversibilità n. 48… e non la misura decurtata al 60% che le viene erogata, con arretrati nei limiti della prescrizione interrotta dalle istanze presentate, e con rivalutazione monetaria ed interessi legali dal dì del dovuto al saldo.

Si dà atto che, per l’assenza dell’Amministrazione resistente, non è stato possibile esperire il tentativo di conciliazione.

DIRITTO

Le due questioni che questa Sezione giurisdizionale regionale è chiamata a decidere concernono, quanto alla prima, il diritto del dante causa della ricorrente a percepire l’indennità integrativa speciale in misura intera e la tredicesima mensilità sulla pensione privilegiata tabellare vitalizia (in godimento dal 18 ottobre 1965) nel periodo di contemporanea fruizione di analoghi assegni a fronte del trattamento economico di attività in qualità di dipendente del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni fino a 31 ottobre 1986 (data del ripristino) ed il diritto del medesimo dante causa della ricorrente a percepire dal 1° novembre 1986 al 3 febbraio 2001 (data del decesso) l’indennità integrativa speciale in misura intera e la XIII^ mensilità su entrambi i trattamenti pensionistici in godimento; e, quanto alla seconda, il diritto della ricorrente a percepire l’indennità integrativa speciale in misura intera e la tredicesima mensilità sulla pensione privilegiata di reversibilità a decorrere dal 4 febbraio 2001 e le stesse indennità in misura intera anche sulla pensione ordinaria di reversibilità, liquidatale dall’Amministrazione con applicazione dell’art. 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995 anziché dell’art. 2 della legge 27 maggio 1959 n. 324.

Entrambe le questioni, sia pure con talune correzioni per quanto concerne il quantum spettante a titolo di pensioni di reversibilità, meritano di essere risolte nel senso auspicato dalla ricorrente.

Invero, la vexata quaestio della cumulabilità o meno di più indennità integrative speciali (e quella alla medesima correlata della cumulabilità di più tredicesime mensilità) singolarmente spettanti per ciascun trattamento pensionistico o retributivo per attività di servizio erogati a favore di un unico percepente ha impegnato numerosissime volte sia i giudici di merito sia la Corte costituzionale alla quale detta questione è stata più volte ferita sotto diverse prospettazioni.

Ed anche le numerose pronunce del giudice delle leggi sono state in vario modo interpretate dalla giurisprudenza formatasi al riguardo sia delle Sezioni regionali della Corte dei conti, sia delle Sezioni centrali d’appello sia delle Sezioni Riunite.

Allo stato attuale, può affermarsi che risulta maggioritaria la tesi favorevole al cumulo in assenza della indicazione, da parte del legislatore, di un limite al di sopra del quale è costituzionalmente legittimo imporre il divieto di tale cumulo.

Tuttavia, sia per le variegate ipotesi di cumulo sia per la frammentarietà delle questioni via via rappresentate e decise, ritiene questo Giudice di dover tentare, per quanto possibile, una riduzione ad unità della materia.

Va innanzi tutto precisato che le ipotesi di cumulo possono concernere la contemporanea fruizione di una pensione ordinaria e di un trattamento di attività per lavoro subordinato svolto a favore di Pubbliche Amministrazioni o di privati, di una pensione ordinaria e di altra pensione parimenti ordinaria (pubblica o I.N.P.S. integrata al minimo), di una pensione privilegiata ordinaria e di un trattamento di attività per lavoro subordinato svolto a favore di Pubbliche Amministrazioni o di privati, di una pensione privilegiata ordinaria e di altra pensione ordinaria (pubblica o I.N.P.S. integrata al minimo), di una pensione privilegiata tabellare (o alla stessa equiparata) e di un trattamento di attività per lavoro subordinato svolto a favore di Pubbliche Amministrazioni o di privati, di una pensione privilegiata tabellare (o alla stessa equiparata) ed altra pensione ordinaria (pubblica o I.N.P.S. integrata al minimo) o privilegiata ordinaria.

E’ di tutta evidenza che la copiosissima giurisprudenza che si è formata in subiecta materia doveva necessariamente riferirsi ad ogni singola ipotesi proprio per la specificità delle posizioni rivestite dai singoli ricorrenti, venendo così meno una visione globale della questione che sembra opportuno, ora, quanto meno tentare di ricostruire.

Ed il punto di partenza non può che essere costituito dalla norma che ha introdotto nell’ordinamento la indennità in argomento e, cioè, la legge 27 maggio 1959 n. 324 la quale contiene due distinte affermazioni di principio.

La prima, contenuta nel primo comma dell’art. 1 e nel primo comma dell’art. 2, prevede che ai titolari di trattamento economico di lavoro previsto dalla tabella unica allegata al d.P.R. n. 19 del 1956 nonché ai titolari di pensioni ordinarie o di assegni vitalizi, temporanei o rinnovabili, diretti, indiretti o di reversibilità, sia normali che privilegiati, sia attribuita l’indennità integrativa speciale in questione.

La seconda, contenuta nel quarto comma dell’art. 1 e nel sesto comma dell’art. 2, dispone che l’indennità integrativa speciale compete ad un solo titolo, con opzione per la misura più favorevole nei casi di consentito cumulo di impieghi o di pensioni.

Appare di tutta evidenza come le due disposizioni predette si pongano la prima quale norma di carattere generale e la seconda quale eccezione alla prima.

Per quanto concerne, in particolare, i titolari di trattamenti pensionistici dei dipendenti civili e militari dello Stato, l’art. 99 del d.P.R. n. 1092 del 1972, assorbendo e sostituendo in toto le previgenti disposizioni, prevede, al secondo comma, che al titolare di più pensioni o assegni l’indennità integrativa speciale compete ad un solo titolo e, al quinto comma, che la corresponsione della suddetta indennità è sospesa nei confronti del titolare di pensione o di assegno che presti opera retribuita, sotto qualsiasi forma, presso lo Stato, amministrazioni pubbliche o enti pubblici anche se svolgono attività lucrativa.

Per semplificare quindi il concetto potrebbe dirsi che al titolare di trattamento economico di attività o di trattamento di quiescenza compete, quale diritto sorgente per il solo fatto della corresponsione del trattamento, anche la indennità integrativa speciale nella misura stabilita dalla legge; tale diritto trova un limite, imposto anch’esso dal legislatore ordinario, nella percezione di altra retribuzione o altra pensione costituenti autonomo titolo alla fruizione di altra indennità integrativa speciale.

La Corte costituzionale è stata ripetutamente investita della questione della legittimità delle disposizioni legislative che prevedono il divieto di cumulo e le decisioni rese hanno dato origine ad una ridda di interpretazioni a ragione di un inciso contenuto nel dispositivo della sentenza n. 172 del 1991 (tanto per citarne una): “pur restando vietato il cumulo delle indennità integrative speciali”.

Va precisato che il giudice delle leggi, fino dall’emanazione della sentenza n. 566 del 1989, aveva affermato il principio che la diminuzione del trattamento pensionistico complessivo (comprendente quindi anche l’indennità in questione), può essere giustificata e compatibile col principio stabilito dall’art. 36, primo comma, della Costituzione soltanto se correlata ad una retribuzione della nuova attività lavorativa che ne giustifichi la misura con la conseguenza che non sono legittime norme che implichino una sostanziale decurtazione del complessivo trattamento pensionistico senza stabilire il limite minimo dell’emolumento dell’attività esplicata oltre il quale tale decurtazione diventa operante; tale determinazione (e quella della relativa decorrenza) spetta al legislatore e deve esplicarsi in modo da salvaguardare il precetto dell’art. 36, primo comma, della Costituzione.

Analogo principio è stato affermato dalla Corte costituzionale per quanto concerne la fruizione, da parte del medesimo soggetto, di due distinti trattamenti pensionistici.

La giurisprudenza della Corte dei conti aveva, originariamente, tentato di dare una lettura delle decisioni della Corte costituzionale che consentisse il mantenimento del divieto di cumulo, pur espressamente dichiarato illegittimo dal giudice delle leggi, arrivando persino ad ipotizzare, in assenza della relativa determinazione da parte del Legislatore, l’esistenza di un limite, individuato prima del minimo I.N.P.S. e, poi, nel requisito della “nullatenenza” previsto ad altri fini pensionistici.

Dopo l’ultimo, drastico intervento della Corte costituzionale, la quale ha rilevato come non competa al giudice di merito siffatta individuazione, le decisioni adottate nelle diverse sedi hanno finito per affermare l’intervenuta integrale espunzione dall’ordinamento, ad opera delle sentenze della Corte costituzionale, di un generalizzato divieto di cumulo dell’indennità in parola.

Questo giudice ritiene di dover condividere appieno, e per tutte le ipotesi di consentito cumulo di retribuzioni e/o di pensioni, il principio suesposto sulla base del seguente iter logico.

Il percettore di retribuzione o di pensione ha diritto alla corresponsione, in uno con il trattamento fondamentale, anche dell’indennità integrativa speciale essendo quest’ultima dovuta sulla base di un precetto normativo che assume valenza di disposizione di carattere generale, derogabile solo nel rispetto dei princìpi contenuti nell’art. 36 della Costituzione.

La deroga a detta disposizione di carattere generale era contenuta proprio nelle disposizioni che vietavano indiscriminatamente il cumulo di più indennità integrative speciali; poiché tale eccezione alla norma di carattere generale è stata ritenuta illegittima per violazione dell’art. 36 della Costituzione ed è stata espunta dall’ordinamento in virtù delle sentenze della Corte costituzionale, la suesposta norma di carattere generale non trova più, nell’ordinamento vigente, alcuna deroga, non essendosi ancora provveduto, da parte del Legislatore, alla individuazione del limite di reddito soltanto al di sopra del quale è costituzionalmente consentito porre un divieto dei cumulo, totale o parziale.

Consegue da quanto detto che, per l’intervento abrogativo della Corte costituzionale in materia, non può essere opposto alcun legittimo rifiuto alla corresponsione dell’indennità in questione anche a favore di chi la percepisca già ad altro titolo.

Ragionamento sostanzialmente analogo deve esser fatto per quanto attiene alla XIII^ mensilità.

Quanto all’inciso di cui sopra, lo stesso deve essere letto nel senso che il divieto di cumulo non è incostituzionale in sé ma unicamente in assenza di un limite minimo, al di sopra del quale soltanto detto divieto può trovare applicazione, che assicuri il rispetto del precetto contenuto nell’art. 36 della Costituzione.

La suesposta prospettazione consente di definire tutte le ipotesi di cumulo individuate all’inizio di questa parte motiva.

Per ciò che attiene alla decisione n. 14/Q.M. del 2003 delle Sezioni Riunite di questa Corte dei conti, con la quale è stato affermato che, in ipotesi di doppio trattamento di pensione, non è consentito il cumulo della indennità integrativa speciale e che il titolare di due pensioni ha diritto a percepire l’indennità integrativa speciale sulla seconda pensione soltanto nei limiti necessari per ottenere l’integrazione della pensione sino all’importo corrispondente al trattamento minimo previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti (il cosiddetto minimo I.N.P.S.) osserva il giudicante che le motivazioni espresse nella predetta decisione sono state sottoposte ad attento esame critico dalla giurisprudenza sia dei giudici di primo grado che dalla Sezione terza giurisdizionale centrale d’appello ed alle argomentazioni formulate nelle sentenze con le quali i giudicanti sono andati di contrario avviso rispetto alle Sezioni Riunite è sufficiente riportarsi (Sezione terza giurisdizionale centrale n. 329 del 18 luglio 2003 e n. 403 del 30 settembre 2003; Sezione giurisdizionale per la Regione Liguria n. 792 adottata nella pubblica udienza del 18 settembre 2003 e Sezione giurisdizionale per la Regione Toscana n. 731/2003/PC del 6 ottobre 2003).

Invero, quanto alla valenza delle decisioni delle Sezioni Riunite su identiche questioni giuridiche, è stato affermato (SS.RR n. 23/QM del 24 settembre 1999) che il punto di diritto deciso dalle Sezioni riunite in sede di soluzione di questione di massima non può considerarsi definito una volta per tutte, rivestendo efficacia vincolante nel solo giudizio nel quale è stata sollevata, mentre per i Collegi giudicanti (e, ovviamente, per i giudici monocratici in materia pensionistica) che valutano fattispecie analoghe costituisce un precedente autorevole dato l’organo da cui promana.

Precedentemente le medesime Sezioni Riunite, con decisione n. 21/QM del 16 luglio dello stesso anno, avevano sostenuto che le pronunce che conseguono al giudizio avanti alle SS. RR. in sede di soluzione di questioni di massima sono vincolanti solo con riferimento ai giudizi nei quali sono state poste, mentre per gli altri giudizi aventi ad oggetto identiche questioni giuridiche esse hanno solo l’auctoritas dovuta alla peculiare funzione.

Ancora più incisiva appare la decisione n. 25/QM del 17 novembre 1999 delle stesse Sezioni Riunite secondo la quale le pronunce delle Sezioni riunite in sede di risoluzione di questione di massima non hanno un valore meramente consultivo, nel senso di fornire un autorevole parere chiarificatore al giudice remittente, bensì quello di una decisione vincolante esclusivamente nel giudizio in corso (anche se dotata di un ruolo accessorio di indicazione ermeneutica a valenza generale).

Una notazione specifica merita il termine latino “auctoritas” utilizzato nella decisione n. 21/QM/1999 la cui traduzione assume nella nostra lingua due distinti significati: per un verso il termine indica la autoritarietà della decisione e, cioè, la capacità di imporsi fermamente a tutti i giudicanti impedendo ad essi l’espressione di un diverso convincimento e, per altro verso, significa la autorevolezza della decisione stessa, nel precipuo significato di godere di stima e credito notevoli, che ispirano fiducia.

Appare sufficientemente evidente che, nel nostro ordinamento vigente, le decisioni delle Sezioni Riunite della Corte dei conti, alla stregua delle decisioni delle Sezioni Unite della Cassazione e del Consiglio di Stato, non possiedono il requisito della autoritarietà e non sono quindi idonee ad imporsi a tutti i giudicanti (monocratici o collegiali, di primo grado o d’appello) che si trovino ad affrontare in giudizio identiche questioni giuridiche; possono peraltro possedere il requisito della autorevolezza, ma questo non promana né dalla funzione (SS.RR. n. 21/QM/1999) né dall’organo (SS.RR. n. 23/QM/1999) bensì unicamente dalla capacità della singola decisione di porsi quale indicazione ermeneutica a valenza generale (SS.RR. n. 25/QM/1999) in quanto basata su argomentazioni logico-giuridiche ineccepibili.

Nel caso che occupa, la decisione n. 14/2003/QM dell’11 luglio 2003 non possiede il requisito della autoritarietà né sembra possedere il carattere della autorevolezza nei termini sopra illustrati.

Inducono a siffatto convincimento le considerazioni espresse dai giudici dell’appello in materia pensionistica, prima fra tutte l’evidente sperequazione di trattamento, in palese violazione dell’art. 3 della Costituzione, scaturente dalla decisione delle Sezioni Riunite che qui si esamina: nel caso di due dipendenti in attività di servizio entrambi titolari anche di un trattamento pensionistico, cessati l’uno il primo gennaio 1995 e l’altro il 31 dicembre 1994, il primo potrà beneficiare di doppia I.I.S. (quella sulla “nuova” pensione in essa conglobata e quella sulla precedente pensione in quanto non si potrebbe sostenere di trovarsi in presenza di cumulo) mentre il secondo si vedrà privato di una delle due I.I.S. in quanto nessuna delle due conglobata (o si vedrà corrisposto l’importo sufficiente a raggiungere, sul trattamento pensionistico di più limitato ammontare, il cosiddetto minimo I.N.P.S.).

Ma anche senza effettuare alcun raffronto con altre posizioni, non v’è chi non veda come il titolare di pensione e di trattamento economico di lavoro subordinato (presso datori di lavoro privati o preso Pubbliche Amministrazioni), finché permane il rapporto di lavoro subordinato avrà diritto (per espresso riconoscimento contenuto anche nella decisione di cui si controverte) a cumulare le due indennità, venendo a perdere (in tutto o in parte) l’indennità integrativa speciale sul trattamento pensionistico a decorrere dal momento in cui è stato collocato in quiescenza ed ha iniziato a godere di un secondo trattamento pensionistico. Una siffatta conclusione appare veramente poco in sintonia con i precetti di cui all’art. 36 della Carta fondamentale come costantemente interpretati dalla Corte costituzionale e sembra colpire il soggetto interessato proprio nel momento in cui, con la cessazione del rapporto di lavoro, viene a trovarsi in quella posizione di maggiore debolezza che è sempre stata ritenuta dal giudice delle leggi meritevole di più attenta considerazione.

Né assume rilievo, ai fini del decidere, la considerazione che, a decorrere dal 1995, il problema del divieto di cumulo è stato di fatto superato dal legislatore con il conglobamento della indennità integrativa speciale nel trattamento economico di lavoro subordinato, così implicitamente riconoscendo l’intervenuto mutamento nella natura delle indennità di cui si controverte che hanno cessato di essere degli “accessori” al trattamento principale per essere entrati a farne parte integrante ed indifferenziabile, in quanto la questione della esistenza o meno del divieto di cumulo deve essere indagata e risolta in maniera omogenea per tutto l’arco temporale nel corso del quale avrebbe dovuto operare.

Le suesposte motivazioni appaiono quindi sufficienti a legittimare il contrario avviso di questo giudicante rispetto alla pronuncia delle Sezioni Riunite, ma non sembra fuor di luogo osservare che un’eventuale decisione del giudice di primo grado assecondante l’orientamento espresso dalle Sezioni Riunite non potrebbe che ingenerare ulteriore contenzioso atteso che, all’evidenza, il ricorrente – conoscendo l’orientamento di segno contrario delle Sezioni di secondo grado – provvederà ad interporre appello nei confronti di una decisione al medesimo non favorevole.

Tanto premesso, poiché l’oggetto della presente controversia concerne, da un lato, la cumulabilità dell’indennità integrativa speciale e della tredicesima mensilità spettanti al dante causa della ricorrente sul trattamento privilegiato ordinario tabellare in cumulo dapprima con il trattamento economico di attività in qualità di dipendente del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni fino a 31 ottobre 1986 (data del ripristino) ed il diritto del medesimo dante causa della ricorrente a percepire dal 1° novembre 1986 al 3 febbraio 2001 (data del decesso) l’indennità integrativa speciale in misura intera e la XIII^ mensilità su entrambi i trattamenti pensionistici in godimento; e, dall’altro lato, il diritto della ricorrente a percepire l’indennità integrativa speciale in misura intera e la tredicesima mensilità sulla pensione privilegiata di reversibilità a decorrere dal 4 febbraio 2001 e le stesse indennità in misura intera anche sulla pensione ordinaria di reversibilità, liquidatale dall’Amministrazione con applicazione dell’art. 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995 anziché dell’art. 2 della legge 27 maggio 1959 n. 324, ritiene questo Giudice che debba farsi applicazione del principio da ultimo enunciato, non potendo comunque trovare applicazione alla fattispecie il divieto di cumulo posto con le disposizioni dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale.

Quanto alla misura del trattamento pensionistico di reversibilità spettante iure proprio alla ricorrente, osserva il giudicante che la Sezione giurisdizionale per la Regione Marche, con sentenza n. 380 del 1° luglio 2003, in applicazione dei princìpi affermati dalla sezioni riunite della corte dei conti con decisione n. 8/QM del 17 aprile 2002, ha ribadito che in ipotesi di decesso del titolare di pensione diretta, liquidato entro il 31 dicembre 1994, l’eventuale trattamento di reversibilità vada in ogni caso liquidato secondo le norme di cui all’articolo 15, comma 5, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, indipendentemente dalla data della morte del dante causa, atteso che l’articolo 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335, non ha abrogato il richiamato comma 5 dell’articolo 15 della legge n. 724 del 1994.

Per quanto eccepito dall’INPDAP, basti segnatamente richiamare che la seconda parte del comma 41 dell’articolo 1, della legge n. 335 del 1995 – poiché concernente la regolazione del cumulo tra pensione e redditi eventualmente posseduti dal titolare del trattamento di reversibilità – tratta materia affatto diversa dalla disciplina dell’indennità integrativa, non potendosi pertanto rinvenire nel caso alcun effetto abrogativo implicito nei confronti della norma del 1974 (in ordine alle ulteriori motivazioni di diritto, sul punto riguardato, cfr. la sentenza n. 8/QM, precitata).

Deve quindi affermarsi che, in ipotesi di decesso del pensionato il cui trattamento di quiescenza sia stato liquidato fino alla data del 31 dicembre 1994, il consequenziale trattamento di riversibilità deve essere in ogni caso liquidato ai sensi dell’articolo 15, comma 5, della legge n. 724 del 1994, ciò indipendentemente dalla data del decesso del dante causa, anche se detto evento si sia verificato successivamente alla data d’entrata in vigore della legge n. 335 del 1995.

Nel caso di specie, dunque, poiché al dante causa della ricorrente veniva liquidata la pensione privilegiata ordinaria con attribuzione, a decorrere dal 1° novembre 1986, della I.I.S. nella misura intera, detto emolumento, in pari entità, deve necessariamente riconoscersi anche al derivato trattamento di reversibilità.

Quanto alla pensione ordinaria diretta in godimento del dante causa della ricorrente dal 1° novembre 1986, la stessa deve intendersi, per le statuizioni contenute nella presente sentenza, come se fosse stata corrisposta fin dall’origine (anche se con applicazione della ordinaria prescrizione quinquennale dei maggior assegni) con l’attribuzione dell’indennità integrativa speciale in misura intera e pertanto detto emolumento, in pari entità, deve necessariamente riconoscersi anche al derivato trattamento di reversibilità.

Peraltro, la misura delle pensioni di reversibilità, con esclusione quindi delle correlate indennità integrative speciali che, per quanto detto, debbono essere corrisposte in misura intera, deve essere determinata nel 50% in integrale applicazione della previgente normativa in materia di pensioni di reversibilità.

Per ciò che attiene alla prescrizione dei ratei non corrisposti, eccepita dall’Amministrazione resistente in via subordinata, per consolidata giurisprudenza delle Sezioni centrali d’appello che hanno rifermato in tale sede il pregresso contrario convincimento di questa Sezione giurisdizionale regionale, la stessa è quinquennale e deve essere computata a ritroso dalla data di notifica all’Amministrazione intimata dell’atto introduttivo del presente giudizio (10 febbraio 2002), salva l’esistenza di atti interruttivi della prescrizione precedenti al ricorso da dimostrare direttamente all’Amministrazione competente a provvedere.

Per i motivi sopra esposti il ricorso merita di trovare accoglimento nei limiti più sopra precisati, sussistendo peraltro giusti motivi per compensare le spese del presente giudizio.

Sulle somme che risulteranno dovute spettano altresì la rivalutazione monetaria, quale possibile integrazione degli interessi legali, e gli interessi legali da computarsi come per legge da ciascuna scadenza all’effettivo soddisfo.

Soccorrono peraltro giusti motivi per compensare le spese del presente giudizio.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Emilia Romagna, in funzione di giudice unico delle pensioni in composizione monocratica nella persona del consigliere Luigi Di Murro, visto l’art. 5 della l. 21 luglio 2000 n. 205 nonché gli artt. 420, 421, 429, 430 e 431 del codice di procedura civile, definitivamente pronunciando, ACCOGLIE PARZIALMENTE il ricorso iscritto al n. 027781/004749/Pensioni Militari del registro di segreteria proposto da B.L. vedova di C. P. e, per l’effetto, dichiara il diritto del dante causa della ricorrente e, per lui, della ricorrente medesima all’indennità integrativa speciale in misura intera ed alla XIII^ mensilità non fruite dal C. sulla pensione ordinaria diretta in godimento nel periodo di contemporanea fruizione di altro trattamento pensionistico privilegiato ordinario, per il quinquennio antecedente la data di notifica all’Amministrazione intimata dell’atto introduttivo del presente giudizio (10 febbraio 2002).

DICHIARA altresì il diritto della ricorrente, in applicazione dell’art. 15, comma 5, della legge 23 dicembre 1994 n. 724, alla indennità integrativa speciale in misura intera sulla pensione di reversibilità n. 48…. (pari al 50% della pensione diretta fruita dal dante causa).

DICHIARA inoltre il diritto della ricorrente, in applicazione del primo comma dell’art. 1 e del primo comma dell’art. 2 della legge 27 maggio 1959 n. 324 nonché dell’art. 15, comma 5, della legge 23 dicembre 1994 n. 724, alla indennità integrativa speciale in misura intera sulla pensione di reversibilità n. 15….. (pari al 50% della pensione diretta fruita dal dante causa).

Sulle somme che risulteranno dovute spettano altresì la rivalutazione monetaria, quale possibile integrazione degli interessi legali, e gli interessi legali da computarsi come per legge da ciascuna singola scadenza all’effettivo soddisfo.

Spese compensate.

Così deciso in Bologna, nella camera di consiglio del 9 giugno 2004.

Il Giudice
F.to Consigliere Luigi Di Murro

Depositata in Segreteria il 26 luglio 2004

IL DIRIGENTE
F.to Dott.ssa Valeria Sama