Sentenza n.197 del 4 giugno 2010

Sentenza n.197 del 4 giugno 2010

La Corte Costituzionale dice no per l’ennesima volta alla concessione della doppia indennità intgrativa speciale

Pubblichiamo il testo della sentenza.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

Composta dai Sigg.ri :
Francesco AMIRANTE    Presidente
Ugo DE SIERVO   Giudice
Paolo MADDALENA   Giudice
Alfio FINOCCHIARO    Giudice
Alfonso QUARANTA    Giudice
Franco GALLO    Giudice
Luigi MAZZELLA    Giudice
Gaetano SILVESTRI    Giudice
Sabino CASSESE    Giudice
Maria Rita SAULLE    Giudice
Giuseppe TESAURO    Giudice
Paolo Maria NAPOLITANO    Giudice
Giuseppe FRIGO    Giudice
Alessandro CRISCUOLO    Giudice
Paolo GROSSI    Giudice

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 99, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), promossi dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Toscana, con ordinanza del 3 aprile 2009 e dalla Corte dei conti, sez. giurisdizionale per la Regione Piemonte, con ordinanza del 13 maggio 2009, iscritte ai nn. 193 e 287 del registro ordinanze 2009 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 28 e 48, prima serie speciale, dell’anno 2009.
Visti gli atti di costituzione di B. V. e dell’INPDAP (di cui uno fuori termine), nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 13 aprile 2010 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;
uditi gli avvocati Paolo Guerra per B. V., Dario Marinuzzi per l’INPDAP e l’avvocato dello Stato Giuseppe Nucaro per il Presidente del Consiglio dei ministri.

RITENUTO IN FATTO

1.- La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Toscana, in composizione monocratica, con ordinanza del 3 aprile 2009 (r. o. n. 193 del 2009) ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 99, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), come risultante dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 494 del 1993.
Il giudice rimettente deve pronunciare in un giudizio nel quale la parte privata, titolare di due distinti trattamenti pensionistici, ha chiesto l’accertamento del diritto a riscuotere per intero l’indennità integrativa speciale su entrambe le pensioni, pure in presenza di quanto stabilito dal citato art. 99, secondo comma, secondo cui “Al titolare di più pensioni o assegni l’indennità integrativa speciale compete ad un solo titolo”, nel testo risultante dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 494 del 1993, che dichiarò l’illegittimità costituzionale del medesimo art. 99, secondo comma, nella parte in cui non prevedeva che, nei confronti del titolare di due pensioni, pur restando vietato il cumulo delle indennità integrative speciali, dovesse comunque farsi salvo l’importo corrispondente al trattamento minimo previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti.
La Corte dei conti, dopo avere richiamato la propria ordinanza n. 58 del 2006, con la quale aveva rimesso gli atti alla Corte costituzionale per lo scrutinio dell’art. 99, secondo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, nonché l’ordinanza n. 119 del 2008 con la quale la Corte costituzionale aveva restituito gli atti stessi al giudice rimettente per un nuovo esame della sollevata questione di legittimità costituzionale, alla luce dello jus superveniens costituito dall’articolo 1, commi 774 e 776, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), menziona la propria sentenza n. 350 del 2008.
Con tale decisione la rimettente ha ritenuto che, a seguito del predetto jus superveniens e per interpretazione autentica del legislatore, desumibile dall’art. 1, comma 774, della legge n. 296 del 2006, rafforzata dall’abrogazione dell’articolo 15, comma 5, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), disposta dall’art. 1, comma 776, della medesima legge n. 296 del 2006, l’indennità integrativa speciale deve intendersi parte integrante del trattamento pensionistico, indipendentemente dalla decorrenza e, come tale, spetti in misura intera su ogni pensione a decorrere dal 1°gennaio 1995, così restando rimossa la prospettata illegittimità costituzionale.
Il giudice rimettente prosegue osservando che, però, varie sentenze delle sezioni giurisdizionali d’appello della Corte dei conti hanno negato l’incidenza del ricordato jus superveniens sul quadro normativo concernente il cumulo della indennità integrativa speciale nel caso di più pensioni, riaffermando la persistenza del divieto di cui all’art. 99, secondo comma, d.P.R. n. 1092 del 1973 sui trattamenti pensionistici anteriori al 31 dicembre 1994; e che anche le sezioni riunite della stessa Corte dei conti, con sentenza n. 1/QM/09 in data 26 febbraio 2009, pronunziando sulla relativa questione di massima, hanno statuito che la legge n. 296 del 2006 non ha innovato in materia di cumulo dell’indennità integrativa speciale su più pensioni anteriori al 31 dicembre 1994, confermando in sostanza il principio di massima espresso nella precedente sentenza n. 2/QM/2006, con la quale tuttavia erano stati manifestati dubbi di costituzionalità sul citato art. 99, secondo comma, come integrato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 494 del 1993.
Avuto riguardo alle memorie difensive, ed alla richiesta della parte privata diretta ad ottenere che la questione di legittimità costituzionale della suddetta norma sia nuovamente rimessa alla Corte costituzionale, il giudice rimettente ritiene che tale questione non sia manifestamente infondata, perché questa Corte, che non si è ancora pronunziata su di essa, aveva sottoposto ai remittenti la valutazione dello jus superveniens, in quanto evidentemente ritenuto idoneo a rimuovere i denunciati vizi di legittimità costituzionale. Questa interpretazione adeguatrice, però, non sarebbe stata recepita dalle ricordate decisioni della Corte dei conti, tra cui la citata sentenza delle sezioni riunite n. 1/2009/QM in data 26 febbraio 2009 (che ha effetto vincolante nel giudizio a quo), onde si deve ritenere sussistente un “diritto vivente” ormai consolidato in un’opzione interpretativa in contrasto con i precetti costituzionali, “secondo quanto ampiamente motivato da questo giudice con la citata ordinanza n. 58/06 del 30 marzo 2006, con la quale ha rimesso gli atti alla Corte costituzionale per lo scrutinio dell’art. 99, secondo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973”.
Tanto premesso, la Corte rimettente afferma che “la legge n. 724 del 1994 segna il discrimine temporale dell’evoluzione normativa dell’indennità integrativa speciale – com’è stato riconosciuto anche dalla più recente giurisprudenza costituzionale e, soprattutto, dall’ordinanza n. 89 del 2005 del Giudice delle leggi – poiché il legislatore ha trasformato quella che era una retribuzione (differita) accessoria in retribuzione primaria, con ciò evidenziando il suo chiaro intento di non riproporre il precedente divieto, pur temperato dalla tutela del minimo pensionistico”.
In tale nuova prospettiva andrebbe collocata la pronuncia d’illegittimità costituzionale della norma censurata (rispetto all’assetto normativo conosciuto dal giudice costituzionale nel 1993).
Diversamente opinando, “si verserebbe nella macroscopica disparità di trattamento tra i percettori di plurimi trattamenti pensionistici ante legge n. 724 del 1994 (che godrebbero del mantenimento di più indennità integrative speciali, ma ancorate inevitabilmente al cosiddetto minimo INPS) e i percettori di plurime pensioni post legge n. 724 del 1994 (i quali a parità di condizioni e di trattamenti pensionistici, solo temporalmente differenziati quanto al momento della loro liquidazione, godrebbero di indennità integrative speciali senz’altro integrali)”.

2. – Nel giudizio di legittimità costituzionale si è costituito il ricorrente nella causa principale, signor B. V., con memoria pervenuta a mezzo servizio postale il 7 luglio 2009.
La parte privata prende le mosse dal rilievo che oggetto di scrutinio è l’art. 99, secondo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, recante il divieto di cumulo dell’indennità integrativa speciale su due pensioni pubbliche, norma che è ancora ritenuta in vigore nel testo modificato dalla sentenza “additiva” di questa Corte n. 494 del 1993 per le sole posizioni pensionistiche pubbliche anteriori al 31 dicembre 1994. E ciò, nonostante le sopravvenute disposizioni normative della legge n. 724 del 1994 (art. 15), della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), e della legge n. 296 del 2006 (art. 1, comma 776).
Dopo aver rilevato che la questione non avrebbe trovato soluzione univoca davanti al giudice delle pensioni (sono menzionate varie decisioni della Corte dei conti), onde ne sarebbe derivata una grave e illegittima discriminazione tra i pensionati, la parte privata richiama la giurisprudenza della Corte costituzionale nella materia de qua, illustra la propria posizione pensionistica, sostiene l’ammissibilità della questione sollevata con l’ordinanza di rimessione e, nel merito, ne propugna la fondatezza.
In particolare, la parte privata afferma che, dopo il 1° gennaio 1995, per effetto dell’art 15, comma 3, della legge n. 724 del 1994, “la pensione (diretta) spettante viene determinata sulla base degli elementi retributivi assoggettati a contribuzione, ivi compresa l’indennità integrativa speciale, ovvero l’indennità di contingenza, ovvero l’assegno per il costo della vita spettante”.
Con tale nuovo sistema di calcolo, confermato dalla legge n. 335 del 1995, fatte salve le precedenti posizioni pensionistiche più favorevoli, il legislatore, recependo quanto statuito da questa Corte sulla natura retributiva dell’indennità integrativa speciale, ha modificato, con decorrenza dal 1° gennaio 1995, il sistema di calcolo del trattamento pensionistico, facendo rientrare la detta indennità nella retribuzione pensionabile.
Pertanto, ad avviso della parte privata, a seguito della liquidazione del trattamento pensionistico con il nuovo sistema di calcolo (art. 15, comma 3, della legge n. 724 del 1994), sarebbe implicitamente venuta meno l’ipotesi di divieto di cumulo dell’indennità integrativa speciale su più contestuali pensioni (art. 99, secondo comma, del T. U. n. 1092 del 1973), fondato sulla natura “accessoria” del detto emolumento. Ne deriverebbe che, dopo il 1° gennaio 1995, nei confronti del titolare di pensione pubblica (diretta o di reversibilità) da data anteriore al 31 dicembre 1994 con indennità integrativa speciale separata, divenuto titolare di altra pensione pubblica diretta dopo la predetta data, sarebbe ripristinata l’indennità integrativa speciale sulla prima pensione, essendo scomparsa detta indennità come assegno accessorio su quella successiva. Dal che il discrimine di identiche posizioni, rilevato dal giudice rimettente, “che non costituisce assolutamente l’effetto diacronico voluto dal legislatore nei diversi periodi”.
Richiamata la sentenza di questa Corte n. 516 del 2000, relativa ad una legge della Regione Siciliana che pure vietava il cumulo dell’indennità integrativa speciale su più trattamenti pensionistici, e posta in rilievo la differenza della statuizione in essa contenuta rispetto alle precedenti pronunzie, la parte privata ne trae la conseguenza che “la disposizione dell’art. 99, secondo comma, del T. U. 1092/73, nella ipotesi in cui dovesse essere stata soltanto “modificata” dalla sentenza 494/93 (additiva-manipolativa) e non annullata, non potrebbe comunque trovare attuale cittadinanza nell’ordinamento pensionistico, come si desume dagli interventi della Corte costituzionale del 1998 (ord. 438/98) e del 2000 (ord. 517/00 e sent. 516/2000)”. Se, invece, detta disposizione è ritenuta vigente nel testo manipolato, essa “non può non essere nuovamente scrutinata e dichiarata incostituzionale, questa volta con identica motivazione della sentenza 516/00, vale a dire per violazione degli artt. 3, 36 e 38 della Carta fondamentale”.
Infine, la parte privata richiama la precedente ordinanza di rimessione n. 58 del 2006 della Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Toscana, osserva che al riguardo non vi è stata pronuncia di merito a seguito dell’ordinanza di restituzione atti adottata da questa Corte (n. 119 del 2008) e conclude per la declaratoria d’illegittimità costituzionale della norma censurata.

3. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha spiegato intervento nel presente giudizio, osservando che sulla questione le sezioni riunite della Corte dei conti si sono chiaramente pronunciate con le sentenze n. 14/QM/03 dell’11 luglio 2003 e 2/QM/06 del 22 febbraio 2006. Con tali statuizioni il divieto di cumulo dell’indennità integrativa speciale è stato ritenuto operante.
La difesa dello Stato osserva che, mentre la norma censurata stabilisce che al titolare di più pensioni o assegni la detta indennità compete ad un solo titolo, l’art. 99, quinto comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, del quale fu dichiarata l’illegittimità costituzionale con sentenza n. 566 del 1989, prevedeva la sospensione del versamento dell’indennità medesima nei confronti del titolare di pensione o di assegno, prestatore d’opera retribuita sotto qualsiasi forma. Nel caso deciso con la sentenza da ultimo citata, dunque, assumevano valore due elementi, uno dei quali, cioè la pensione, è noto e determinabile, mentre l’altro, ossia la retribuzione di un’opera prestata sotto qualsiasi forma, può avere il più diverso contenuto e, quindi, è da considerare incerto e aleatorio. Pertanto, l’illegittimità della norma era stata desunta dall’impossibilità d’individuare un limite minimo dell’emolumento dell’attività lavorativa. Invece, nel caso di due pensioni entrambi gli emolumenti sono fissati per legge e, perciò, sono noti.
Ad avviso dell’Avvocatura generale, questa è la ragione per cui il mantenimento di una sola indennità, stabilito dalla norma in esame, può essere sufficiente per assolvere alle finalità di cui all’art. 38 Cost., in quanto l’indennità stessa costituisce la componente sulla quale il legislatore ben può esercitare la propria discrezionalità, salvo il limite della manifesta irragionevolezza.
Infine essa, ponendo in evidenza come il percorso argomentativo seguìto da questa Corte nella sentenza n. 494 del 1993 sia connesso a quello effettuato in precedenti sentenze (n. 307 del 1993 e n. 172 del 1991), ritiene non fondati i dubbi di legittimità costituzionale sollevati in ordine alla norma censurata.

4. – Nel giudizio di legittimità costituzionale si è costituito anche l’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica (INPDAP), chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, non fondata.
Il detto ente, dopo aver riassunto gli aspetti salienti del processo promosso (dalla parte privata) davanti alla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Toscana, osserva che le sezioni riunite della stessa Corte dei conti sono state investite della questione di massima, relativa alla corretta interpretazione dell’art. 99, comma secondo, del d.P.R. n. 1092 del 1973, proprio a seguito di ordinanza pronunziata dall’attuale Giudice rimettente nel processo a quo.
Richiamato il contenuto della pronuncia adottata dalle sezioni riunite, l’INPDAP prosegue osservando che essa ha efficacia vincolante nel giudizio a quo, sicché la sezione giurisdizionale per la Regione Toscana doveva applicare il principio di diritto nella medesima decisione enunciato. Da ciò deriverebbe che l’ordinanza, con la quale la detta sezione giurisdizionale ha nuovamente sollevato la questione di legittimità costituzionale, si dovrebbe ritenere inammissibile.
Nel merito, l’Istituto sostiene la non fondatezza della questione.
L’ente richiama i precedenti della Corte costituzionale (sentenze n. 376 del 1994, n. 494 del 1993 e n.172 del 1991, della cui natura additiva non si potrebbe dubitare) ed afferma che le pronunzie d’illegittimità costituzionale delle norme, relative al cosiddetto divieto di cumulo dell’indennità integrativa speciale su plurimi trattamenti pensionistici, sarebbero state limitate alla parte in cui le norme stesse “non hanno previsto la salvezza, sul secondo trattamento pensionistico, dell’importo corrispondente al c.d. “minimo INPS””. Ciò diversamente dalle statuizioni del giudice delle leggi, intervenute in merito alla distinta ipotesi di cumulo dell’indennità integrativa speciale in caso di godimento di retribuzione e di trattamento di quiescenza, alle quali andrebbe riconosciuta natura di sentenze di “mero annullamento”.
Pertanto, la norma censurata non sarebbe stata affatto espunta dall’ordinamento, ma soltanto integrata dalla disciplina introdotta dalla Corte costituzionale, al fine di assicurarne la conformità ai princìpi costituzionali.
L’Istituto aggiunge che tale interpretazione è stata condivisa in più decisioni delle sezioni riunite della Corte dei conti, le cui conclusioni, a suo avviso, trovano conferma nella recente evoluzione normativa introdotta con le disposizioni contenute nell’art. 1, commi 774 e 776, della legge n. 226 (recte: 296) del 2006.
Infatti, il legislatore avrebbe inteso fornire una interpretazione definitiva circa le modalità di computo dell’indennità integrativa speciale, sia pure in relazione alle sole pensioni di reversibilità, con una disciplina destinata a spiegare efficacia anche nel caso in esame.
Dopo aver posto l’accento sull’art. 15, comma 3, della legge n. 724 del 1994 e sull’art. 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995, l’ente osserva che l’art. 1, comma 774, della legge n. 296 del 2006 ha disposto che l’estensione della disciplina dell’assicurazione generale obbligatoria alle pensioni di reversibilità del settore pubblico deve intendersi nel senso che l’indennità integrativa speciale, in godimento al dante causa e indipendentemente dalla decorrenza della pensione diretta, è attribuita, sui trattamenti di reversibilità liquidati successivamente all’entrata in vigore della legge n. 335 del 1995, nella sola misura percentuale prevista per il trattamento di reversibilità (cioè con la riduzione al 60 per cento).
Con il successivo comma 776, per evidenti esigenze di ordine sistematico, è stata abrogata la disposizione introdotta dall’art. 15, comma 5, della legge n. 724 del 1994, che faceva salvo il computo della suddetta indennità in misura intera, per i trattamenti di reversibilità che (per quanto liquidati dopo l’entrata in vigore della legge n. 335 del 1995) fossero comunque relativi a trattamenti diretti liquidati prima del 31 dicembre 1994.
Ad avviso dell’ente, con tale intervento il legislatore avrebbe inteso interpretare nel modo più restrittivo, per esigenze perequative nonché di contenimento della spesa previdenziale, le norme in tema di computo dell’indennità in questione sui trattamenti di reversibilità.
Ciò si rifletterebbe anche in tema di calcolo della medesima indennità su plurimi trattamenti pensionistici, conducendo ad escludere il computo di essa in misura integrale su tali trattamenti. Invero, per i casi di concorso tra pensione diretta e di reversibilità, una diversa interpretazione dell’art. 99, secondo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, nel senso di ritenere caducato il divieto di cumulo, si porrebbe in contrasto con le disposizioni dettate dalla legge finanziaria per il 2007, in quanto giungerebbe al risultato inaccettabile di consentire il computo integrale dell’indennità integrativa speciale sui trattamenti di reversibilità anche successivi al 1995. In sostanza, ad avviso dell’ente, se non è più consentito computare detta indennità in misura intera sul trattamento di reversibilità liquidato dopo il 1995, ed ovviamente cumulare più indennità in misura intera qualora uno dei trattamenti pensionistici sia di reversibilità, non si vede come si potrebbe giungere a tale risultato qualora essi siano entrambi diretti, cioè più favorevoli per il pensionato.
Infine, l’INPDAP richiama la più recente giurisprudenza della Corte dei conti, favorevole alla tesi interpretativa propugnata dall’ente.

5. – La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, in composizione monocratica, con ordinanza del 13 maggio 2009 (r. o. n. 287 del 2009), ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 36 e 38 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 99, secondo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973.
La Corte rimettente premette di essere chiamata a pronunciare in sette processi, promossi da soggetti tutti intestatari, a vario titolo, di due pensioni liquidate entro il 31 dicembre 1994. Tutti i ricorrenti chiedono che sia loro corrisposta l’indennità integrativa speciale, da calcolare in misura intera su entrambe le pensioni in godimento. Le Amministrazioni resistenti, però, sostengono che le domande non possono essere accolte, stante il divieto di cumulo di plurime indennità integrative su più pensioni, tuttora parzialmente previsto dall’art. 99, secondo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973.
Il giudice a quo richiama il percorso giurisprudenziale sviluppatosi in materia, ponendo l’accento sulle sentenze della Corte costituzionale e sulle decisioni della Corte dei conti che hanno affrontato, sotto diversi profili, il tema del cumulo della suddetta indennità. Ad avviso del medesimo Giudice, nel diritto vivente sarebbe “venuta a delinearsi – almeno in apparenza – un’aporia dell’ordinamento pensionistico pubblico. La Corte costituzionale, in particolare, sembra aver risolto in maniera difforme due questioni tra loro apparentemente analoghe, come pare desumersi dal raffronto delle citate sentenze n. 494 del 1993 e n. 376 del 1994 (da un lato) con l’orientamento successivamente espresso nella sentenza n. 516 del 2000 (dall’altro lato). Le prime due sentenze, specificamente, paiono tenere distinte la fattispecie del cumulo di pensione e retribuzione (per la quale si pronuncia una declaratoria di illegittimità con effetto “ablatorio”) rispetto a quella del cumulo tra più pensioni (per la quale si ha invece una pronuncia con effetto “additivo” o “manipolativo”, introducendo nella norma il criterio-soglia del minimo INPS per adeguare il divieto di “cumulo” ai canoni di legittimità costituzionale); la terza sentenza, al contrario, sembra equiparare le due fattispecie (pensione più retribuzione versus plurime pensioni), ritenendole entrambe illegittime, senza dettare alcun criterio di adeguamento”.
La Corte rimettente, dopo aver formulato l’ipotesi che tale discrasia possa spiegarsi con le innovazioni legislative intervenute nel corso del tempo, richiama l’art. 1, commi 774 e 776, della legge n. 296 del 2006, nonché l’art. 15 della legge n. 724 del 1994, ed afferma che “in base al combinato disposto delle disposizioni appena richiamate, un problema di cumulo di i.i.s. non poteva e non può ulteriormente porsi per tutte quelle pensioni in cui la i.i.s. è stata effettivamente “conglobata” e, segnatamente: per le pensioni dirette liquidate dopo il 31 dicembre 1994 e per le pensioni di reversibilità ad esse riferite (legge n. 724 del 1994, art. 15, commi 3 e 4 citati); per le pensioni di reversibilità sorte con decorrenza pari o successiva al 17 agosto 1995 (legge n. 335 del 1995, art. 1, comma 41 citato, alla luce dell’interpretazione autentica recata dal citato comma 774), ancorché riferite a pensioni dirette ante 1995″.
Il problema restava aperto, invece, per le pensioni dirette liquidate entro il 31 dicembre 1994 e per le pensioni di reversibilità ad esse riferite, se sorte entro il 16 agosto 1995 (art. 15, comma 5, legge n. 724 del 1994), perché, dopo l’abrogazione di tale norma ad opera dell’art. 1, comma 776, della legge n. 296 del 2006, non era chiaro in giurisprudenza se per tali pensioni l’indennità integrativa si potesse ancora considerare “voce accessoria” ed autonoma rispetto alla pensione base.
Il giudice a quo, poi, pone l’accento sull’ordinanza di questa Corte n. 119 del 2008 e rileva che, dopo la restituzione degli atti disposta con tale provvedimento, la giurisprudenza della Corte dei conti è pervenuta a soluzioni “variegate”, alcune ritenendo la sussistenza del divieto di cumulo, altre (come la Sezione d’appello per la Sicilia) affermando la caducazione di tale divieto, così riconoscendo il diritto al cumulo di più indennità senza limitazioni di sorta.
La rimettente riferisce di aver prestato motivata adesione a quest’ultima soluzione ermeneutica, nella prospettiva di una interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata che conduceva a ritenere non più vigente, almeno dal 17 agosto 1995, l’art. 99, secondo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973.
Tuttavia, avuto riguardo alla rilevanza della questione ed ai contrasti insorti nella giurisprudenza, la questione medesima è stata nuovamente rimessa alle sezioni riunite della Corte dei conti che, con la sentenza n. 1/QM del 26 febbraio 2009, hanno tra l’altro affermato, dopo ampia disamina, il seguente principio di massima: “Per il periodo precedente all’entrata in vigore della legge 27.12.2006, n. 296, resta applicabile la disciplina della IIS con riferimento al titolare di due pensioni decorrenti entrambe da data anteriore al 1. 1. 1995”.
In questo quadro, il giudice a quo dà atto del “diritto vivente” “quale inequivocamente affermato da tre conformi successive pronunce delle Sezioni riunite (n. 14/QM/2003 cit.; n. 2/QM/2006 cit.; n. 1/QM/2009 cit.) nonché dall’attuale univoco orientamento delle tre Sezioni centrali d’appello della Corte dei conti (Sez. Prima, sent. 295 del 07.07.2008; Sez. Seconda, sent. 252 del 25.07.2008; Sez. Terza, sent. 238 del 22.8.2008, già citate; fa eccezione, ma in relazione ai soli ricorrenti residenti in Sicilia, App. Sicilia, sent. 100 del 6 marzo 2009”. A suo avviso ne deriva, in primo luogo, che il (parziale) divieto di cumulo di più indennità integrative corrisposte su più pensioni è da ritenere tuttora vigente, in quanto lo jus superveniens, introdotto dalla legge finanziaria per il 2007, non avrebbe influito sull’applicazione o sull’interpretazione del citato art. 99, secondo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973 (come risultante dopo la sentenza di questa Corte n. 494 del 1993); in secondo luogo, che restano integre tutte le censure di legittimità costituzionale, a suo tempo sollevate, nei confronti di tale norma, per contrasto con gli artt. 3 e 36 Cost. (Sezione Abruzzo, ordinanza n. 14 del 10 marzo 2006); ovvero con gli artt. 3, 36 e 38 Cost. (Sezione Toscana, ordinanza n. 33 del 30 marzo 2006); o anche soltanto con l’art. 3 Cost. (Sezione terza appello, n. 153 del 16 maggio 2006). A tali ordinanze di rimessione, “i cui contenuti devono intendersi qui integralmente richiamati, in quanto condivisi da questo Giudice, viene ad aggiungersi, da ultimo, l’ordinanza Sez. Toscana, n. 49 del 3 aprile 2009, anch’essa sostanzialmente condivisa da questo Giudice e da intendersi qui recepita”.
Ciò posto, la Corte rimettente passa a motivare sulla rilevanza della questione, osservando che i giudizi nei quali è chiamata a pronunziare non possono essere decisi prescindendo dall’applicazione della norma censurata, perché concernenti fattispecie di cumulo di indennità integrative speciali relative a pensioni liquidate anteriormente al 1° gennaio 1995, con domanda di riconoscimento di ratei arretrati comunque ricadenti (tenuto conto del termine quinquennale di prescrizione) in data anteriore al 2007.
Inoltre, nessuna interpretazione costituzionalmente orientata di detta norma è percorribile, in presenza del chiarissimo principio di diritto più volte affermato e ribadito dalle sezioni riunite della Corte dei conti, nonché dalle tre sezioni centrali d’appello, “le cui conformi pronunce sostanziano il “diritto vivente “”.
In ordine alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo – richiamate ancora una volta le considerazioni svolte nelle citate ordinanze di rimessione del 2006, nonché nell’ordinanza n. 49 del 2009 della sezione Toscana – osserva in via di sintesi che sono state poste in evidenza “le molteplici incongruenze derivanti dalla piena cumulabilità della indennità integrativa speciale per i pensionati che siano ancora lavoratori attivi (cumulo pensione-retribuzione) con cessazione del favorevole regime di cumulo all’atto del successivo pensionamento (divieto di cumulo pensione-pensione), ma solo per i pensionati ante 1995 (e per le relative pensioni di reversibilità, se maturate entro il 17 agosto 1995), così introducendo, tra l’altro, una forte ed irragionevole cesura sul piano temporale senza la contestuale previsione di alcun meccanismo di graduale adeguamento dal “vecchio” al “nuovo” sistema di computo della i.i.s., con particolare riguardo alla salvaguardia delle posizioni pregresse. Irragionevolmente distonico appare, poi, il “conglobamento” della i.i.s. nelle pensioni di reversibilità comunque sorte dopo il 17 agosto 1995, dal momento che quella stessa i.i.s., in capo al dante causa, è tuttora considerata voce “accessoria” di contingenza”.
Il giudice a quo, poi, “ritiene di dover rimarcare il profilo, invero singolare, dell’irragionevole disparità di trattamento venutasi a creare tra i pensionati della Regione Sicilia (interessati ad oggi dalla citata pronuncia “ablatoria” n. 516 del 2000: v. tabella O, lettera b, terzo comma, della legge della Regione Siciliana 29 ottobre 1985, n. 41) e il resto dei pensionati pubblici (interessati per contro dalla citata pronuncia “manipolativa” n. 494 del 1993: v. art. 99, secondo comma, t. u. 1092 del 1973)”.
La Corte rimettente prosegue affermando che, se nel 2000 il criterio del “minimo INPS” è stato ritenuto non più idoneo a rendere costituzionalmente legittima la citata norma della Regione siciliana (come dovrebbe desumersi dalla sentenza n. 516 del 2000) non sarebbe equo né ragionevole che quello stesso criterio sia parzialmente tenuto fermo dalla giurisprudenza contabile nel “diritto vivente”, facendo applicazione della norma qui censurata, tanto più che il criterio dell’integrazione al minimo INPS rappresenta un correttivo soltanto nominale, perché quasi tutte le pensioni dei dipendenti pubblici sono superiori ad esso.
Sarebbe ravvisabile, quindi, una macroscopica violazione dei princìpi fondamentali di uguaglianza e ragionevolezza, sottesi all’art. 3 Cost., non essendo dato percepire le ragioni per le quali le due originarie (e nella sostanza equivalenti) norme, una dello Stato l’altra della Regione Sicilia, entrambe recanti il divieto di cumulo dell’indennità integrativa, siano poi divenute, per effetto di pronunce della Corte costituzionale (e non di scelte legislative, espressione di discrezionalità nella materia), norme del tutto diverse pure in assenza di apprezzabili differenze nelle fattispecie disciplinate.
Andrebbe rilevato, infine, che, trattandosi di rendita vitalizia pubblica, corrisposta mensilmente agli interessati, l’irragionevole perdurante sperequazione “può finire, in concreto, per minare non soltanto l’effettività del canone di uguaglianza, ma anche il principio stesso di solidarietà sociale ed economica su cui si fonda la Repubblica (art. 2 Cost.)”.

6. – Nel giudizio di legittimità costituzionale si è costituito l’INPDAP che, svolgendo argomentazioni analoghe a quelle esposte con riferimento alla precedente ordinanza di rimessione (r.o. n. 193 del 2009), ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, non fondata.

7. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, a sua volta è intervenuto concludendo per la non fondatezza della questione, con argomenti analoghi a quelli esposti nel precedente giudizio.
In prossimità dell’udienza di discussione la difesa dello Stato ha depositato memorie in entrambi i giudizi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Le sezioni giurisdizionali per la Regione Toscana e per la Regione Piemonte della Corte dei conti, in composizione monocratica, con le ordinanze indicate in epigrafe dubitano della legittimità costituzionale dell’articolo 99, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), come risultante dopo la sentenza di questa Corte n. 494 del 1993, in riferimento agli articoli 2, 3, 36 e 38 della Costituzione.
Le dette sezioni giurisdizionali sono state chiamate a giudicare su ricorsi proposti da diverse persone, ciascuna intestataria a vario titolo di due pensioni liquidate entro il 31 dicembre 1994. I ricorrenti chiedono che sia loro corrisposta su entrambe le pensioni in godimento l’indennità integrativa speciale in misura intera. Le amministrazioni resistenti, però, sostengono che le domande non possono essere accolte, stante il divieto di cumulo di plurime indennità integrative su più pensioni, tuttora parzialmente previsto dal citato art. 99, secondo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, già oggetto della sentenza di questa Corte n. 494 del 1993, che dichiarò l’illegittimità costituzionale del medesimo art. 99, secondo comma, “nella parte in cui non prevede che, nei confronti del titolare di due pensioni, pur restando vietato il cumulo delle indennità integrative speciali, debba comunque farsi salvo l’importo corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti”.
Le rimettenti richiamano i precedenti della questione, gli orientamenti espressi sul tema de quo dalla Corte costituzionale e dalla Corte dei conti, le trasformazioni normative intervenute nel corso degli anni e rilevano che, pur dopo la pronunzia “ablatoria” di questa Corte, adottata con la sentenza n. 516 del 2000 (in ordine ad una norma della Regione siciliana avente contenuto analogo a quello della norma qui censurata), la giurisprudenza delle sezioni riunite e delle sezioni centrali d’appello (esclusa la sezione d’appello per la Sicilia) della stessa Corte dei conti è ormai ferma nel senso di ritenere tuttora vigente il (parziale) divieto di cumulo della indennità integrativa speciale su più pensioni, in guisa da integrare un vero e proprio “diritto vivente”.
In relazione a tale principio, tuttavia, restano intatte le censure di illegittimità costituzionale a suo tempo sollevate, con le ordinanze della sezione Abruzzo, della sezione Toscana e della sezione terza d’appello della Corte dei conti, tutte emesse nel 2006, sulle quali non vi è stata pronunzia di questa Corte perché essa, a seguito della entrata in vigore della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007 -), e segnatamente dell’art. 1, commi 774 e 776, della medesima, dispose la restituzione degli atti ai giudici rimettenti con ordinanza n. 119 del 2008, avuto riguardo alle intervenute modifiche del quadro normativo, costituenti jus superveniens.
Pertanto le sezioni giurisdizionali in epigrafe, nel riportarsi alle citate ordinanze di rimessione, “i cui contenuti devono intendersi qui integralmente richiamati”, rinnovano (nei termini che saranno in prosieguo precisati) le censure mosse all’art. 99, secondo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973.

2. – I due giudizi di legittimità costituzionale, avendo ad oggetto la medesima questione, devono essere riuniti e decisi con unica pronunzia.

3. – Con riferimento alla questione proposta dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Toscana, l’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica (INPDAP) ha eccepito che essa sarebbe inammissibile, in quanto le sezioni riunite della Corte dei conti sono state investite della questione di massima relativa alla corretta interpretazione dell’art. 99, comma secondo, del d.P.R. n. 1092 del 1973 proprio a seguito di ordinanza di rimessione pronunciata dalla detta Sezione giurisdizionale nel giudizio a quo.
Le sezioni riunite, con sentenza n. 1/QM/2009, hanno statuito che “In ragione dell’art. 99, secondo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, vigente nel testo modificato dalla Corte costituzionale tuttora non sussiste, in caso di pensioni liquidate, come nella deferita questione, prima dell’1. 1. 1995, il diritto al cumulo della i.i.s. in misura intera su due trattamenti di pensione, dovendosi assicurare sul secondo trattamento solo il minimo INPS”. L’Istituto prosegue rilevando che le stesse sezioni riunite si sono soffermate anche sull’efficacia del cosiddetto jus superveniens, di cui all’art. 1, commi 774 e seguenti, della legge n. 296 del 2006, affermando che tali disposizioni non hanno “modificato l’assetto normativo valevole per il periodo anteriore alla data di entrata in vigore della legge n. 724 del 1994, quale modellatosi con le varie sentenze della Corte costituzionale relative al divieto di cumulo”.
Pertanto, l’INPDAP conclude sostenendo che, poiché la suddetta sentenza ha efficacia vincolante nel giudizio a quo, la sezione giurisdizionale per la Toscana della Corte dei conti avrebbe dovuto applicare i princìpi sopra enunciati, senza poter sollevare la questione di legittimità costituzionale.

3. 1. – L’eccezione non è fondata.
Questa Corte, con giurisprudenza costante, in relazione al giudizio di rinvio dopo sentenza di annullamento pronunciata dalla Corte di cassazione, ha affermato che la norma dichiarata applicabile nella interpretazione dalla medesima Corte fornita può formare oggetto di questione di legittimità costituzionale da parte del giudice del rinvio, perché quest’ultimo deve fare applicazione della norma nel significato attribuitole, onde non si è al cospetto di rapporti “esauriti”(ex plurimis: sentenze n. 305 del 2008, n. 349 e 78 del 2007, n. 58 del 1995 e n. 138 del 1993).
Per quanto qui interessa, la situazione non è dissimile con riguardo alle sentenze pronunciate dalle sezioni riunite della Corte dei conti in questioni di massima concernenti un giudizio pendente davanti ad una sezione giurisdizionale territoriale, che ha rimesso la questione stessa all’esame delle dette sezioni riunite. Anche la sezione territoriale, infatti, deve fare applicazione della norma nel significato che le è stato attribuito con la pronuncia sulla questione di massima (sentenza n. 375 del 1996); e, del resto, l’articolo 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 (Norme sui giudizi di legittimità costituzionale e sulle garanzie d’indipendenza della Corte costituzionale), stabilisce che la relativa questione è rilevata d’ufficio o sollevata da una delle parti nel corso di un giudizio, senza distinguere tra i gradi o le fasi di questo (sentenza n. 138 del 1977).

4. – Entrambe le ordinanze di rimessione rinviano per relationem alle precedenti ordinanze del 2006, dichiarando di far proprie le motivazioni in esse contenute.
Questa Corte, però, con giurisprudenza costante, ha dichiarato inammissibili le questioni così sollevate, dovendo il giudice a quo esporre compiutamente ed in forma autosufficiente le ragioni del proprio convincimento circa l’illegittimità costituzionale della norma censurata (ex plurimis: sentenze n. 64 del 2009, n. 72 del 2008, n. 103 del 2007; ordinanze n. 75 del 2007 e n. 33 del 2006). Ne deriva che i detti rinvii non possono trovare ingresso in questa sede, sicché il thema decidendum resta circoscritto alle censure esposte nelle ordinanze di rimessione indicate in epigrafe.

5. – Nel merito, si deve premettere che, ai sensi dell’art. 15, comma 3, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), “con decorrenza dal 1°gennaio 1995, per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni e integrazioni, iscritti alle forme di previdenza esclusive dell’assicurazione generale obbligatoria, nonché per le altre categorie di dipendenti iscritti alle predette forme di previdenza, la pensione spettante viene determinata sulla base degli elementi retributivi assoggettati a contribuzione, ivi compresa l’indennità integrativa speciale, ovvero l’indennità di contingenza, ovvero l’assegno per il costo della vita spettante”.
Pertanto, a far tempo dalla data suddetta, il pagamento dell’indennità di contingenza è stato conglobato nel trattamento pensionistico, mentre il detto art. 15, comma 3, e le disposizioni successive di cui alla sentenza delle sezioni riunite della Corte dei conti n. 1 del 26 febbraio 2009, non hanno modificato – secondo l’orientamento della giurisprudenza menzionata nell’ordinanza di rimessione – il carattere accessorio delle indennità integrative speciali sulle pensioni liquidate in epoca anteriore al 1° gennaio 1995, con la conseguenza che, per i titolari di più pensioni tutte anteriori a tale data, permangono i limiti relativi al cumulo delle indennità stesse posti dall’art. 99, comma secondo, del d.P.R. n. 1092 del 1973, nel testo risultante dopo la sentenza di questa Corte n. 494 del 1993.
Detta norma dispone che “Al titolare di più pensioni o assegni l’indennità integrativa speciale compete a un solo titolo”. La sentenza da ultimo citata ne dichiarò l’illegittimità costituzionale “nella parte in cui non prevede che, nei confronti del titolare di due pensioni, pur restando vietato il cumulo delle indennità integrative speciali, debba comunque farsi salvo l’importo corrispondente al trattamento minimo previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti”.
La pronuncia prese le mosse dall’articolo 17 della legge 21 dicembre 1978, n. 843 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato), il quale disponeva, nel comma 1, che “L’indennità integrativa speciale non è cumulabile con la retribuzione percepita in costanza di rapporto di lavoro alle dipendenze di terzi. Deve comunque essere fatto salvo l’importo corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti” (cosiddetto minimo INPS); pose l’accento, poi, sulla sentenza n. 172 del 1991, che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale del detto art. 17 ” nella parte in cui non prevede che anche nei confronti del titolare di due pensioni, pur restando vietato il cumulo delle indennità integrative speciali, debba comunque farsi salvo l’importo corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti”; menzionò, inoltre, la sentenza n. 307 del 1993, con la quale fu dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 16 della legge 20 ottobre 1982, n. 773 (Riforma della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei geometri), “nella parte in cui non prevede che anche nei confronti del titolare di due pensioni, di cui una a carico della Cassa nazionale di previdenza e assistenza dei geometri, pur restando vietato il cumulo delle indennità integrative speciali, debba comunque farsi salvo l’importo corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti”; e, ritenendo che le rationes decidendi poste a fondamento delle sentenze da ultimo richiamate ricorressero anche con riguardo al disposto dell’art. 99, secondo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, pervenne alla declaratoria d’illegittimità costituzionale di tale norma, nei sensi sopra indicati.
Come si vede, tratto comune delle sentenze ora citate è il principio che nei confronti dei titolari di due pensioni il cumulo delle indennità integrative speciali resta vietato, sia pure con il correttivo nelle sentenze medesime stabilito, ossia con il riconoscimento del diritto alla riscossione della detta indennità anche sul secondo trattamento, ma limitatamente alla misura necessaria per l’integrazione all’importo corrispondente al trattamento minimo previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti.
Il detto principio, che trova un ancoraggio normativo nell’art. 17, primo comma, della legge n. 843 del 1978, non si può ritenere espunto dall’ordinamento a seguito delle sentenze di questa Corte n. 204 del 1992 e n. 172 del 1991 (del resto, entrambe precedenti alla sentenza n. 494 del 1993). Non certo per effetto della prima, che anzi, nel dichiarare la (parziale) illegittimità della citata norma, fece leva proprio sulla necessità di far salvo il trattamento minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti; e nemmeno per effetto della seconda che, senza far riferimento al menzionato trattamento minimo, pervenne alla declaratoria d’illegittimità costituzionale delle due norme censurate (tra cui l’art. 17, primo comma, della legge n. 843 del 1978), “nella parte in cui non determinano la misura della retribuzione, oltre la quale diventano operanti l’esclusione e il congelamento dell’indennità integrativa speciale”, così mostrando di condividere la tesi che un limite oltre il quale il divieto di cumulo diventava operante rientrava nella sfera della legittimità costituzionale.
Lo stesso principio, peraltro, si trova ribadito anche nella sentenza n. 376 del 1994. Essa affermò che la regola per cui al titolare di più pensioni l’indennità integrativa speciale compete ad un solo titolo “è costituzionalmente legittima solo se e nella misura in cui sia fatto salvo l’importo di detta indennità eventualmente occorrente a non ridurre la prestazione pensionistica al di sotto del trattamento minimo INPS”. Ed aggiunse, con riferimento all’ipotesi del pensionato che presti attività lavorativa retribuita, “che la sospensione o il congelamento dell’indennità integrativa speciale relativa alla pensione non è legittima ove sia operante qualunque sia l’ammontare della retribuzione percepita, spettando peraltro alla discrezionalità del legislatore – che non risulta essere stata in concreto esercitata – stabilire quale sia la soglia retributiva oltre la quale abbia vigore tale decurtazione” (punto 2 del Considerato in diritto, penultimo paragrafo).
Infine, questa Corte, chiamata a giudicare su una norma della Regione Siciliana di contenuto simile a quello dell’art. 99, secondo comma, con sentenza n. 516 del 2000 ne dichiarò l’illegittimità costituzionale “nella parte in cui non determina la misura del trattamento complessivo oltre il quale diventi operante, per i titolari di pensioni ed assegni vitalizi, il divieto di cumulo della indennità di contingenza ed indennità similari”.
E’ agevole constatare che, se la sentenza non fa riferimento al trattamento minimo INPS, è vero del pari che nella declaratoria d’illegittimità costituzionale si fa espressa menzione della misura del trattamento complessivo oltre il quale il divieto di cumulo diventa operante. C’è di più: nella motivazione (punto 5 del Considerato in diritto) si chiarisce che “l’illegittimità costituzionale non deriva dal divieto di cumulo, di per sé non incostituzionale in relazione alla originaria funzione della indennità di contingenza (o similare) come elemento aggiuntivo (correlata a percentuale di stipendio o pensione) e separato dalla retribuzione o pensione, con finalità di adeguarla ad un livello minimo rispetto alle variazioni del costo della vita; ma si verifica in presenza di divieto di cumulo di indennità di contingenza (o similare) generalizzato, cioè senza che sia fissato un limite minimo o trattamento complessivo per le attività alle quali si riferisce, al di sotto del quale non debba operare il divieto stesso”.
In definitiva, come risulta dall’excursus fin qui compiuto, una lettura complessiva e coordinata della giurisprudenza di questa Corte fino ad oggi formatasi porta a concludere che il divieto di cumulo di più indennità integrative speciali su plurimi trattamenti pensionistici è stato considerato conforme al quadro costituzionale, con il correttivo individuato dalla giurisprudenza.

5. – Bisogna ora procedere all’esame delle questioni proposte dalle ordinanze di rimessione, nei limiti indicati nel precedente paragrafo 4.

5.1. – L’ordinanza della sezione giurisdizionale per la Regione Toscana della Corte dei conti, oltre ad un rinvio per relationem al provvedimento n. 58 del 2006 adottato nel 2006 (rinvio che, per quanto sopra detto, non può trovare ingresso in questa sede), afferma che, “poiché il legislatore ha trasformato quella che era una retribuzione (differita) accessoria in retribuzione primaria”, così ponendo in evidenza il chiaro intento di non riproporre il precedente divieto, pur temperato dalla tutela del minimo pensionistico, era stata chiesta una pronuncia d’illegittimità costituzionale della norma censurata “sotto la nuova ottica (rispetto all’assetto normativo che ha conosciuto il giudice costituzionale del 1993), in quanto diversamente opinando, si verserebbe nella macroscopica diversità di trattamento tra i percettori di plurimi trattamenti pensionistici ante legge n. 724 del 1994 (che godrebbero del mantenimento di più indennità integrative speciali, ma ancorate inevitabilmente al cosiddetto minimo INPS) e i percettori di plurime pensioni post legge n. 724 del 1994 (i quali a parità di condizioni e di trattamenti pensionistici, solo temporalmente differenziati quanto al momento della loro liquidazione, godrebbero di indennità integrative speciali senz’altro integrali)”.
La questione non è fondata.
Premesso che si verte in tema di rapporti di durata, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale non contrasta con il principio di eguaglianza un trattamento differenziato, applicato ad una determinata categoria di soggetti in momenti diversi nel tempo, perché proprio il fluire del tempo costituisce un elemento di diversificazione delle situazioni giuridiche (ex plurimis: sentenze n. 94 del 2009, punto 7.2 del Considerato in diritto; n. 341 del 2007; n. 342 del 2006; ordinanze n. 61 del 2010 e n. 170 del 2009). Inoltre, rientra nella discrezionalità del legislatore, nel rispetto del principio di ragionevolezza, modulare diversamente nel tempo la disciplina giuridica degli istituti e, nella specie, la diversa disciplina dell’indennità integrativa speciale tra pensioni precedenti e successive al 1° gennaio 1995 non può definirsi irragionevole, in quanto si colloca nella prospettiva di pervenire all’armonizzazione delle basi contributive e pensionabili, previste dalle diverse gestioni obbligatorie dei settori pubblico e privato (art. 15, comma 3, della legge n. 724 del 1994).
I parametri riferiti agli artt. 36 e 38 Cost., ancorché evocati nell’ordinanza di rimessione che ha dato luogo al presente giudizio di legittimità costituzionale, sono privi di motivazione. Pertanto con riferimento ad essi la questione è inammissibile (ex plurimis: ordinanze nn. 181 e 35 del 2009; nn. 206 e 32 del 2008).

5.2. – Passando all’ordinanza della sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, si deve premettere che non spetta alla Corte costituzionale, bensì al giudice delle controversie in materia pensionistica, interpretare la normativa applicabile, anche nei suoi profili diacronici, provvedendo altresì a comporre, con gli strumenti predisposti dall’ordinamento, i contrasti giurisprudenziali e le situazioni d’incertezza che ne derivano. Il che, peraltro, è avvenuto, come si desume dalla stessa ordinanza di rimessione (in particolare, pag. 23), a seguito della sentenza delle sezioni riunite della Corte dei conti, n. 1/QM del 26 febbraio 2009 (che ha dato continuità, nella sostanza, a precedenti decisioni adottate nel 2003 e nel 2006), cui hanno prestato adesione tre sezioni centrali d’appello della stessa Corte dei conti.
Questa Corte, dunque, deve procedere allo scrutinio di legittimità costituzionale della norma censurata, per come interpretata dal “diritto vivente” al riguardo formatosi, sulla base dei parametri evocati ed illustrati dalla Sezione rimettente, ferma restando l’inammissibilità del rinvio per relationem ad altre precedenti ordinanze.
Orbene, la detta sezione così riassume, “in estrema sintesi”, le censure mosse.
Andrebbero poste in rilievo le molteplici incongruenze derivanti dalla piena cumulabilità della indennità integrativa speciale per i pensionati che siano ancora lavoratori attivi (cumulo pensione-retribuzione), “con cessazione del favorevole regime di cumulo all’atto del successivo pensionamento (divieto di cumulo pensione-pensione), ma solo per i pensionati ante 1995 (e per le relative pensioni di reversibilità, se maturate entro il 17 agosto 1995), così introducendo, tra l’altro, una forte ed irragionevole cesura sul piano temporale senza la contestuale previsione di alcun meccanismo di graduale adeguamento dal “vecchio” al “nuovo” sistema di computo della i.i.s., con particolare riguardo alla salvaguardia delle posizioni pregresse. Irragionevolmente distonico appare, poi, il “conglobamento” della i.i.s. nelle pensioni di reversibilità comunque sorte dopo il 17 agosto 1995 dal momento che quella stessa i.i.s., in capo al dante causa, è tuttora considerata voce “accessoria” di contingenza”.
Inoltre, andrebbe rimarcata l’irragionevole disparità di trattamento venutasi a creare tra i pensionati della Regione Sicilia (tuttora interessati dalla pronuncia ablatoria n. 516 del 2000) e il resto dei pensionati pubblici, interessati, invece, dalla sentenza “manipolativa” n. 434 (recte: 494) del 1993. Del resto, se nel 2000 il criterio del “minimo INPS” è stato ritenuto non più idoneo a rendere conforme a Costituzione la citata norma della Regione Sicilia, non sarebbe equo, ragionevole e coerente che quello stesso criterio, ormai abbandonato dalla Corte costituzionale, sia parzialmente tenuto fermo dalla giurisprudenza contabile, tanto più che si tratta di un correttivo soltanto nominale, giacché quasi tutte le pensioni dei dipendenti pubblici sono, in concreto, superiori al detto “minimo”.
Verrebbe così a configurarsi “in aggiunta ai profili di incostituzionalità già delineati nelle richiamate ordinanze, una macroscopica violazione dei princìpi fondamentali di uguaglianza e ragionevolezza, sottesi all’art. 3 della Costituzione, non essendo di agevole percezione la ragione (salvo dar rilievo, per l’appunto, al diverso contesto “storico” dell’ordinamento pensionistico pubblico entro cui sono state pronunciate le rispettive declaratorie di illegittimità costituzionale) per cui le due originarie (e sostanzialmente equivalenti) norme (statale e regionale), entrambe recanti il divieto totale di cumulo della i.i.s., siano poi venute paradossalmente a dipanarsi, per l’effetto di pronunce della Corte costituzionale (e non di scelte legislative espressive di discrezionalità nella materia) in due regole giuridiche incommensurabilmente diverse (cumulo pieno per il solo personale della Regione Sicilia; cumulo parziale ma, in concreto, inoperante per gli altri”).
Infine, la rimettente rileva che, “trattandosi di una rendita vitalizia pubblica, corrisposta mensilmente agli interessati per importi tutt’altro che irrilevanti, l’irragionevole perdurante sperequazione può finire, in concreto, per minare non soltanto l’effettività del canone di uguaglianza, ma anche il principio stesso di solidarietà sociale ed economica su cui si fonda la Repubblica (art. 2 Cost.)”.
Le suddette censure, mosse con riferimento all’art. 3 Cost. sotto i profili della disparità di trattamento e dell’irragionevolezza, non sono fondate.
Quanto alle presunte incongruenze derivanti dalla piena cumulabilità dell’indennità integrativa speciale per i pensionati che siano ancora lavoratori attivi, con cessazione di tale regime all’atto del successivo pensionamento, si deve osservare che la posizione del personale in quiescenza, che sia titolare di due pensioni, non è omogenea a quella del personale in quiescenza che, essendo titolare di una pensione, svolga anche attività lavorativa retribuita. Infatti, in questa seconda ipotesi, alla pensione si aggiunge una ulteriore fonte di reddito, costituita dal corrispettivo del lavoro svolto, di entità variabile in relazione al lavoro stesso, il cui ammontare può giustificare una diminuzione del trattamento pensionistico complessivo qualora sia correlata ad una retribuzione che ne giustifichi la misura (sentenza n. 566 del 1989, che non a caso escluse violazioni dell’art. 3 Cost. per i profili in quella sede dedotti: punto 3 del Considerato in diritto). La diversa condizione del pensionato che svolga anche attività lavorativa rispetto a quella del titolare di più pensioni o assegni rende non irragionevole un trattamento giuridico differenziato. In ordine alla disparità di trattamento per i pensionati anteriori al 1995, è sufficiente richiamare le considerazioni svolte in precedenza.
La disparità di trattamento venutasi a creare tra i pensionati della Regione Sicilia ed il resto dei pensionati pubblici non deriva da vizi di legittimità della norma censurata (nel testo risultante a seguito della sentenza additiva di questa Corte n. 494 del 1993), bensì dai contrasti ermeneutici emersi nella giurisprudenza, attualmente peraltro superati, come sopra si è notato.
Né può condividersi l’assunto secondo il quale già nel 2000 il criterio del “minimo INPS” sarebbe stato ritenuto “non più idoneo a riportare a legittimità costituzionale la citata norma della Regione Sicilia” (corrispondente alla disposizione in questa sede censurata), e quindi sarebbe stato “abbandonato dalla Corte costituzionale”. Se con tale assunto si vuol fare riferimento alla sentenza di questa Corte n. 516 del 2000, si deve ribadire che essa non fa alcun cenno al “minimo INPS” e chiarisce, in motivazione, che il divieto di cumulo delle indennità integrative di per sé non è costituzionalmente illegittimo, così ricollegandosi all’orientamento sopra richiamato. Orbene, fermo il punto che alla Corte costituzionale non è consentito fornire l’interpretazione autentica delle proprie precedenti decisioni (ordinanza n. 438 del 1998), né dirimere contrasti sulla interpretazione della legge ordinaria (ordinanza n. 89 del 2005), va osservato che, nel contesto di quell’orientamento, l’affermazione relativa al presunto abbandono del suddetto criterio si rivela priva di adeguata motivazione.
Infine, il rilievo secondo cui il criterio del “minimo INPS” sarebbe soltanto nominale si risolve in una valutazione di fatto che non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità costituzionale.

6. – Da ultimo, la sezione rimettente assume che, considerata la natura dell’indennità integrativa, “l’irragionevole perdurante sperequazione può finire, in concreto, per minare non soltanto l’effettività del canone di uguaglianza, ma anche il principio stesso di solidarietà sociale ed economica su cui si fonda la Repubblica (art. 2 Cost.)”. Questo parametro, però, è evocato in forma non soltanto ipotetica, ma anche generica e meramente assertiva. Ne segue che la questione, sollevata con riferimento ad esso, è inammissibile. Analoga declaratoria d’inammissibilità deve emettersi con riguardo ai parametri individuati negli artt. 36 e 38 Cost., del pari evocati senza adeguata motivazione (ex plurimis: ordinanze n. 181 e n. 35 del 2009, n. 32 del 2008).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 99, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), sollevate dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Toscana e sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, in riferimento agli articoli 2, 36 e 38 della Costituzione, con le ordinanze indicate in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 99, secondo comma, del d. P. R. n. 1092 del 1973, sollevata dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Toscana e sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, con le ordinanze indicate in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 maggio 2010.

F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Alessandro CRISCUOLO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 4 giugno 2010.